Signori e signori, con “Il castello alto” di Stanislaw Lem, ci troviamo davanti ad una Silviata.
Per i nuovi lettori di questo spazio, la “Silviata” si ha quando la sottoscritta viene completamente attratta da un qualcosa del libro come la copertina o il titolo (o entrambi come in questo caso), non legge la trama, la vita dell’autore, i commenti, NULLA DI NULLA. Si porta a casa il libro leggendolo totalmente a scatola chiusa.
E così è avvenuto con “Il castello alto” di Stanislaw Lem; la combo copertina e titolo mi hanno catturata ed in brevissimo tempo mi sono ritrovata in un vortice di pagine estremamente psicologiche, argute, fini, originali e schiette.
Lem, autore polacco noto per i suoi romanzi dove mescola filosofia e fantascienza, ha dato alla luce un romanzo inaspettato, un resoconto dettagliato e discusso in prima persona della sua giovinezza.
La sua penna sapiente mi ha guidata a Leopoli, città che fu in grande fermento nell’epoca tra le due guerre mondiali.
È una lettura molto particolare. Questo memoir ci riporta alla vita dell’autore, alla sua infanzia e ce la racconta con una sincerità sorprendente. Ricorda e riporta alla luce fatti vissuti che lui stesso analizza col suo sapere e la sua esperienza di vita. Un bambino, il suo “io bambino” raccontato dal suo “io adulto”. Sembra un qualcosa di facile ma se ci si prova anche solo col pensiero, ci rendiamo subito conto che di facile c’è ben poco.
“Non so se è già completamente chiaro che ero un tiranno… Un mostro”, ci dice l’autore del suo “sé piccolo” e vi assicuro che di frasi incisive come questa ne troverete molto. Una penna che non manca di critica verso l’epoca, verso l’educazione e le persone che orbitano attorno alla vita dei piccoli. Costruisce critiche che stimolano una riflessione dopo l’altra, com’è giusto che sia. Ma tra queste pagine troverete anche del sano umorisimo, pensieri fini, sensibili e argomentazioni più “pesanti” e psicologiche. Pesanti non nel senso di noiose bensì ingombranti.
Non è troppo semplice da leggere, la scrittura dell’autore è bella forbita. Siamo davanti ad una sorta di monologo articolato ed arguto, a tratti forse la lettura può risultare un pochino lenta ma dall’altra parte abbiamo le tematiche affrontate che tengono alta l’attenzione del lettore.
La prefazione è bellissima, già da quelle parole si capisce con che tipo di testo avremo a che fare; strano sì ma anche intenso.
Il lettore osserva Stanislaw Lem bambino e ascolta Stanislaw Lem adulto. All’inizio questa condizione mi ha stranita un po’ ma poi, man mano che andavo avanti, mi diventava sempre più familiare.
Come vi dicevo all’inizio, l’autore è rinomato per i suoi romanzi fantascientifici, passione che nasce proprio nella sua infanzia e che si svilupperà poi durante l’adolescenza. La creatività è parte integrante delle sue giornate insieme agli esperimenti scientifici e ad un mondo parallelo ma non voglio aggiungere altro, ve lo lascio scoprire a voi.
Per chi è questo memoir? Mmm, difficile dirlo. Credo sia un libro adatto a chi ha voglia o bisogno di tornare indietro. Per coloro che sentono la necessità di ripercorrere un determinato momento o di tornare ad un punto di rottura, a un bivio, a una parola, ad un ricordo.
Ma vi dico anche che “Il castello alto” di Stanislaw Lem è un libro perfetto per chi ha voglia di curiosare nei menadri della psicologia infantile e senza dubbio per tutti gli appassionati dell’autore e dei suoi romanzi fantascientifici.
Concludo dicendo che è stata una lettura diversa, originalissima. Di certo non rientra nella mia zona di comfort ma è stato un azzardo interessante, complesso e profondo.
Vi auguro buon proseguimento di giornata, ci sentiamo prestissimo, tra qualche giorno, perché devo parlarvi di un gioiellino del mio adorato Thoreau! Come dicono quelli bravi, “stay tuned”.
Ringrazio te, che in un batter d’occhio hai assecondato questa Silviata senza pensarci due volte.