“Essere convinti di una cosa non la rende giusta”; questa è la frase chiave che racchiude la storia narrata ne “I girasoli di Kiev” di Erin Litteken.
Che è un libro impattante, lo si vede dalla copertina.
Il fatto che la storia sia forte emotivamente parlando, lo si intuisce leggendo la trama.
Che è un libro importante lo si capisce dalla nota dell’autrice.
E che è un libro che ti segna lo noti a pagina 9, appena dice “Caro lettore…”
“I girasoli di Kiev” di Erin Litteken racconta di un intreccio familiare, siamo nel 1934 e la felicità di una vita semplice, fatta di piccole cose viene completamente annientata dalla collettivizzazione sovietica. C’è tanto dolore in questo racconto, quel tipo di dolore che si sente dietro al collo, lancinante e che trapassa.
Non si parla di caramelle, bensì di Holodomor, il genocidio per fame studiato a regola d’arte per devastare e piegare l’intera nazione. Per leggere questa storia bisogna un po’ saper incassare e smistare i sentimenti perché in una pagina c’è il bisogno di riassaporare una sorta di “vita normale” con una banale ma fondamentale pietanza tipica della tradizione e nella pagina dopo troviamo un personaggio della famiglia sdraiato nell’aia della casa con ferite mortali.
Quindi no, questo libro non si legge a cuor leggero, altrimenti ci si fa male.
Ma non c’è solo dolore ne “I girasoli di Kiev” di Erin Litteken che, con una penna sensibile e mai titubante, ci racconta del sole dopo tanta tempesta, lo mostra ai suoi personaggi e di conseguenza a noi lettori.
“Corse a perdifiato verso i girasoli”. I girasoli che nonostante tutto crescono in un fazzoletto di terra a Kiev ma quei girasoli non sono semplici piante erbacee, quei girasoli in questa storia sono molto, molto di più. Racchiudono la quiete, il ricordo, il miracolo della vita, quella dolce malinconia, il sorriso ed il segreto.
Quando non si ha più niente, quando tutto viene distrutto, quando la vita viene strappata alla vita stessa bisogna fare come fanno i girasoli.
Incrocerete le vite di molti personaggi, ognuno col proprio carattere, tutti diversi ma legati da sentimenti simili. Imparerete ad amare Bobby, una nonna segnata dalla vita che non snocciola una parola del suo passato finchè un oggetto non riporta a galla segreti e momenti passati chiusi in un cassetto.
“I girasoli di Kiev” di Erin Litteken è un viaggio nella storia dell’Ucraina nato dalla curiosità dell’autrice di dar voce ai racconti della sua bisnonna. Grazie alla sue curiosità e alla sua gradevole penna ha dato sostanza ai ricordi di famiglia e la sua dedizione traspare tutta, capitolo dopo capitolo.
Si riflette molto in questa storia, si prova rabbia nel sapere che una manciata di chicchi di grano equivale ad una fucilata e ve l’ho detto, non va letto a cuor leggero ma con consapevolezza.
È uno di quei libri che a me piace chiamare “doverosi” perché l’essere umano PURTROPPO è una creatura che ha memoria molto corta. Dimentica sempre troppo facilmente.
Per questo mi sento di consigliare questo promemoria, questa storia creata da Erin Litteken, nipote di un profugo ucraino della Seconda Guerra mondiale.
Ringrazio con tutto il cuore gli amici preziosi della casa editrice Piemme che una mattina d’inizio Ottobre mi hanno contattata per propormi questa lettura. Grazie di cuore perché in fondo, tutti abbiamo il nostro fazzoletto di terra salvifico, bisogna solo saperlo custodire.
Leggetevi questa storia dolorosa ma che profuma di chicchi di grano, di lacrime, di casa e di tradizione.
Vi auguro davvero di poter entrare in questa famiglia per provare a capire le dinamiche di vita di certe persone. Una volta terminata questa lettura, vi reputerete le persone più fortunate del mondo, credetemi.
Buon agiornata amici cari, a presto!
Grazie Silvia, me lo segno. Si, è doveroso ricordare. Purtroppo, però, ciclicamente la tempesta ritorna in certi luoghi, in altri non se ne va mai, sbattendoci in faccia tutta la follia umana, la mancanza di rispetto per ogni forma di vita. Scusami sono un po’ pessimista ultimamente. Forse la lettura mi aprirà uno spiraglio… chissà.
Ciao Anna, no non hai una visione cupa, vorrei poterti contraddire ma ahimè hai tanta ragione. Ciclicamente il “mostro” pazzo umano torna e devasta, uccide e distrugge. Io confido sempre che tenere a galla la memoria possa essere un valido modo per sensibilizzare. O comunque è ciò che spero sempre… Diciamo così! Ti ringrazio per aver condiviso il tuo pensiero e ti mando un forte abbraccio!