Ecco che arriva e fa “ciao ciao” con la manina il caro mese di Maggio, colui che chiude la stagione primaverile e fa il suo ingresso trionfante insieme ad una festività importante, ovvero la festa del lavoro. Essendo il 1 Maggio una festa ufficiale nazionale, io avrei da dire, anzi da urlare col megafono, due “piccoli” concetti apparentemente semplici ma a quanto pare molto difficili da realizzare.
La prima cosa che vorrei far notare è l’enorme ferita aperta dei ragazzi che per anni e anni hanno studiato, hanno dato miliardi di esami, affrontando acne da stress, emicrania e roba varia, per poi essere praticamente costretti ad andare altrove per trovare un lavoro che possa anche solo un minimo soddisfarli. Metto in questo gruppo di giovani anche tutti quelli che come me non hanno fatto l’università, perché anche loro fanno parte di questo squarcio nel tessuto della nostra cara Italia. Anche il cervello più freddo, più calmo e più razionale viene mandato in tilt da questa situazione di tremendo e silenzioso stallo; mandare milioni di curriculum validi che magari neanche vengono letti, è chiaro che dopo un tot di tempo la gente si fracassa i maroni e si trasferisce! Cavolo, mezzi ragazzi del mio paesino sono a Londra! Vi pare una cosa corretta? Lasciamo “andare via” tutti questi cervelli? Tutte queste braccia lavoratrici? Perché questa gente, giustamente stracolma di rabbia e frustrazione, deve sentirsi costretta a lasciare il proprio paese, la propria casa, per poter lavorare? M’infastidisce questa cosa, e mi chiedo come mai gli italiani purtroppo non siano in grado di combattere per tenersi le proprie cose, le proprie creazioni?!…Guardiamo infatti dov’è finita la Gioconda…
Questa è solo una mia riflessione, ma questa festa dovrebbe invogliare questo bellissimo paese a lasciar subentrare un po’ di giovani, di menti fresche ed innovative e “levare” da quei troni secolari quei cervelli antidiluviani che ormai ci hanno affondato abbondantemente le loro radici; sarebbe l’ora di fare un cambio generazionale a livello mondiale, di cambiare aria.
L’altro punto che vorrei toccare è un prezioso insegnamento che mi ha regalato mia sorella qualche tempo fa, quando mi disse, testuali parole: “Non si vive per lavorare ma si lavora per vivere”. Io ci ho messo tanto a digerire questa frase che ad alcuni potrà sembrare errata ma il mondo è bello perché è vario e in queste parole c’ho visto veramente un grande insegnamento. Nonostante gli infiniti stress che il lavoro ci offre gentilmente, l’essere umano non deve mai e poi mai dimenticarsi di vivere, di dare il giusto peso a quelle 8 ore per poi prendere in mano la vita vera, quella al di fuori di quell’ufficio, di quel campo, di quel cantiere o di quel negozio. Questo pensiero viene spesso e volentieri sommerso dalle mille scartoffie lavorative ma non c’è peggior nemico di una scrivania disordinata. Lavorare deve farti guadagnare quei soldi (anche se ahimè, molto pochi ) per poter vivere la propria vita, un lavoro non può mangiare l’anima ed il cervello di una persona, non può consumaci lentamente dall’interno come un tarlo. Il lavoro deve poterci permettere di vivere.
Queste sono le mie riflessioni in vista di questa festività e vi auguro di passarla con la mente leggera e non sovraccaricata da fogli o numeri o futili discussioni lavorative.
Vi lascio con una stupenda citazione che a modo suo, mi ha dato qualcosa.
“Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo.” Khalil Gibran