Sarò all’antica, mettetela come vi pare però vi giuro che detesto le abbreviazioni delle parole nei messaggi. Oddio quanto mi danno sui nervi. Io dico, per quale oscuro motivo un essere umano dotato di cervello funzionante (affermazione discutibile) deve scrivere “xkè” al posto di “perché” oppure “nn” per la fatica di mettere nel mezzo una semplicissima “o” ed evitare di scrivere “non”?
Io proprio non me ne capacito, colpa mia che sono rimasta indietro coi tempi, che sono poco moderna, benissimo, come vi pare e vi do ragione ma non mi piace per niente vedere la nostra lingua “scarabocchiata” anziché scritta in tutta la sua bellezza. Ecco, sì, oggi ho la vena polemica.
Essendomi svegliata col piede critico, vorrei invitare tutti a fermarsi un attimo per pensare all’importanza che hanno alcune parole o verbi che noi usiamo ogni giorno noncuranti della loro pesantezza.
Tutti abbiamo in casa quell’attrezzo malefico che ripudiamo con tutto il cuore e che usiamo malvolentieri, ovvero la bilancia; vi starete chiedendo che cappero c’entra col discorso che ho fatto precedentemente ma calmi, a tutto c’è un perché.
Come esiste la bilancia per pesare qualsiasi cosa, la nostra massa (nota dolente) o gli alimenti, credo che i grandi cervelloni dovrebbero inventare una bilancia che pesi anche le parole che noi facciamo uscire ( spesso a ruota libera) dal nostro forno chiamato, più elegantemente, bocca. Perché dico questo? Beh, semplice, la gente, o comunque la maggior parte, spara parole così, un po’ a caso a seconda di come suonano meglio. Gioventù idiota, lasciatemelo dire.
A mio avviso ci sono molti verbi nella nostra lingua che possono sembrare affini ma in realtà hanno una personalità ben differente, direi che sono simili nella forma ma diversi nella sostanza e credo che in tanti dovrebbero imparare a soppesarli sulla loro bilancia.
Vorrei fare tre esempi di quest’ultimi e non sono altro che verbi utilizzati da tutti noi quotidianamente e spesso in modo inappropriato ma, ovviamente questa è la mia interpretazione, quindi lo spazio alle critiche e alle opinioni differenti è sempre aperto.
La prima coppia (che scoppia) di verbi che vorrei portare in tribunale è “Guardare-Vedere”. Mettiamoli sulla bilancia e 3…2…1… Boom, il piatto sul quale poggia il verbo “Vedere” risulta molto più pesante.
Una breve riflessione nasce spontanea, noi li usiamo come se fossero sinonimi, beati ignoranti che non siamo altro, ma attenzione, citando il filosofo Thoreau: “Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere”.
Cosa penso? Che tutti guardano ma quasi nessuno vede.
Tutti guardano, perché è un verbo che indica un’azione riflessiva ma “vedere” implica percepire la realtà, andare oltre all’apparenza e cercare di scoprire un significato più profondo. Le persone amano guardarsi, ma probabilmente odiano vedersi. Quindi vi chiedo, cosa vedono e cosa guardano i vostri occhi?
La seconda accoppiata vincente di verbi che s’incammina verso il patibolo è “Sentire-Ascoltare” e pesandoli si nota che, senza indugiare, il piatto della bilancia che sostiene il verbo “Ascoltare” si abbassa di colpo.
Anche in questo caso, la gente sente ma non ascolta; perché sentire una voce, un suono, un qualsiasi rumore, non significa ascoltarlo. “Sentire” è un verbo semplice ed è un’azione piuttosto facile da fare mentre, al contrario, “Ascoltare” e ancor peggio, essere ascoltati è ben più complicato. “Ascoltare” vuol dire prestare attenzione, dedicare tempo, significa pensare e soprattutto capire. Nell’arco di una giornata sentiamo infinite cose, ma alla fin fine quante ne ascoltiamo? Poche, pochissime.
Una nota citazione di Goethe dice:“Parlare è una necessità, ascoltare un’arte” e qui nasce un capitolo a parte intitolato “Saper ascoltare”, un dono o una qualità che tutti dovremmo coltivare.
Dulcis in fundo, la mia accoppiata di verbi preferita, pronti? “Esistere-Vivere”. Una dura lotta, ma alla fine dei giochi il verbo “Vivere” fa abbassare il piatto della nostra cara bilancia in modo notevole.
Tutto il mondo esiste. Le api esistono, i fiori esistono, quel ragnetto che sta salendo sul muro di fronte a me (ma tranquilli, lui esisterà ancora per poco!), i boschi, io esisto, tutti voi esistete. “Esistere” a mio avviso, comprende tutte le funzioni vitali di cui abbiamo bisogno, come mangiare, dormire (tanto bisogno!!) ma “Vivere” credo che rappresenti qualcosa di più, vivere equivale a provare emozioni. “Vivere” è conoscere quel dolore che ti fa piangere fino a che gli occhi e lo stomaco non ti fanno male, “Vivere” è una vibrazione continua, è provare quell’immensa sensazione di beata leggerezza.
Il punto è che il mondo di oggi esiste e non vive, perché la gente punta solo a cercarsi un bel lavoro che produca un buon guadagno ma purtroppo non vive più dei piaceri quelli piccoli, genuini, che fanno nascere quel brivido lungo la schiena che ti fa provare quel rarissimo sentimento chiamato “felicità”.
Concludo invitando tutti voi, tutto il mondo e me per prima a smettere di guardare l’apparenza e cercare invece di vedere cosa c’è nel profondo, di non sentire quel suono o quella voce ma bensì di provare almeno ad ascoltare e capirne il significato ed infine di farla finita di esistere aspettando che il tempo passi e di iniziare a vivere “de panza” come dicono a Roma.
Termino questo papiro di vena critica con una frase di Oscar Wilde:”Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più”.