“Giù nella valle” di Paolo Cognetti è uscito per Einaudi la scorsa settimana, Martedì 24 Ottobre per l’esattezza. L’avevo preordinato e appena me lo sono ritrovato tra le mani mi ci sono fiondata a capo fitto.
Chi mi legge da un po’ lo sa, a me la penna del Cognettone, come lo chiamo io, piace sempre tanto. Le sue descrizioni naturalistiche sono estremamente sensoriali e vivide, riesce a trasportare il lettore in quel bosco specifico, su quella vetta o su quel sentiero facendogli sentire tutti i profumi, i suoni e il vento freddo che scompiglia i pensieri.
Spesso Paolo Cognetti ci porta in montagna, il suo habitat raccontandoci del rapporto profondissimo con questo luogo. Per chi non conosce la sua vita, vi dico brevemente che è nato a Milano dove ha fatto l’Università di matematica, poi è stato diversi anni a New York e alla soglia dei trent’anni ha cambiato rotta. Come ci racconta nel suo diario “Il ragazzo selvatico”, dopo un momento di vita abbastanza cupo decide di mollare tutto. Saluta Milano e se ne va a vivere in una baita a duemila metri in Val d’Aosta, dove trascorreva le sue estati d’infanzia. Da qui la sua penna riprende vita dopo un periodo di stop e Cognetti partorisce “Le otto montagne”.
L’ho presa larga vero? Eh lo so, ora smetto di girarci attorno.
Questo suo ultimo libro mi è piaciuto, non posso dire il contrario. La storia c’è, è costruita bene, i personaggi vengono delineati in modo tale da farci capire fin da subito con chi si ha a che fare, le descrizioni dell’autore sono una coccola per me, sensoriali e piene di una natura intima, profonda. Ne avrei preferite un po’ di più, le centellina.
MA, c’è un “ma“.
Non mi piace la scelta editoriale di non utilizzare la punteggiatura nei dialoghi.
Purtroppo io sono vecchio stampo. Ho bisogno delle caporali, dei due punti che aprono il dialogo, delle virgolette alte e se non ci sono, mi mancano e storgo il naso.
La lettura diventa più macchinosa e meno lineare. Non so se sia una scelta dell’autore o della casa editrice ma a mio avviso l’assenza della punteggiatura non è una grande scelta, proprio per nulla.
Seconda cosa, secondo me non si avvicina al suo masterpiece “Le otto montagne”, quello per me rimane intoccabile e imbattibile.
Detto ciò, mi è piaciuto, segue un po’ il “mood” del suo penultimo libro, “La felicità del lupo”.
Cognetti scende dai monti e ci porta nella valle come dice il titolo, siamo in Valsesia. Più che sia va in giù e verso la valle e più che le persone diventano “sporche”, coi propri scheletri nell’armadio. Mentre quando i nostri passi ci portano in su, verso la montagna, l’anima è più pura, i bisogni sono più semplici e i cuori si arricchiscono. Personalmente preferisco quando l’autore mi racconta della vetta che della valle ma questa è una mia personalissima opinione.
Abbiamo un racconto generale formato da sei storie legate tra di loro che s’intrecciano agli animali, al futuro incerto dei boschi e a personaggi cupi e fragili.
Cognetti ci parla di ritorni, di radici salde e radici marce, di luce ed ombra, di “buono” e “cattivo”.
Questo romanzo è tutto un continuo contrasto ma non c’è scomodità nella sua penna. È un contrasto agrodolce che accompagna il lettore in una storia tra due fratelli, due alberi, un bancone del bar, una casa, dolore, rabbia e di una natura che cambia a causa dei voleri umani.
Vi consiglio “Giù nella valle” di Paolo Cognetti? Sì, certo, è un romanzo che ha il suo perché e ha molto da dire. Metto però le mani avanti… Se come me adorate la penna poetica dell’autore non aspettatevi di rientrare in un qualcosa di simile a “Le otto montagne” perché altrimenti ci rimarrete male.
Alla prossima amici lettori, buon proseguimento di giornata.