Mi faccio un tè.
Scelgo la tazza e prendo quella coi gufi che è bella grande e mi piace tanto; la riempio d’acqua e la metto due minuti nel microonde. Poi scelgo il tè e oggi mi va quello allo zenzero ed al limone, mi piace il suo gusto acidulo con quel lieve pizzicorino che lo zenzero lascia sulla punta della lingua e poi guardo quella tazza che gira nel microonde ed aspetto.
La voce del verbo “aspettare” è una costante incredibile nella nostra vita di tutti i giorni; aspettiamo sempre un qualcosa, un messaggio, che la macchinetta faccia il caffè, che la sveglia suoni, in coda alla cassa della Coop; siamo sempre ad aspettare se ci pensate bene ed a questo punto mi verrebbe quasi da dire che in questa vita è come se fossimo costantemente in sala d’attesa.
Il bello è che poi non ci puoi far nulla, stai fermo lì ed attendi il tuo turno, che finalmente tocchi a te. Per le persone dotate di pazienza innata non è un dramma questa faccenda dell’aspettare ma per quelle povere disgraziate come me, che con la pazienza ancora non c’hanno fatto amicizia beh, è una questione decisamente più delicata, perché l’attesa non ci lascia affatto indifferenti, ci fa spazientire, ci irrita e spesso ci mette pure ansia.
Se non lo sapete, vi dico che “aspettare” in spagnolo si dice “esperar” ed è buffa questa cosa perché sembra voglia dire “sperare” anziché “aspettare ma, pensandoci bene, aspettare significa anche in parte sperare e per alcune cose penso che questi due verbi possano andare a braccetto, per altre situazioni no invece.
Driiiiiin. Ecco, il microonde mi sta dicendo che l’acqua è calda e posso finalmente bere il mio tè, l’attesa è finita.
Mamma mia quanti pensieri si riescono a fare in pochi minuti, eppure, alla fine dei conti, stavo solo aspettando di bere il mio tè.